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Catania secondo 17 donne | Nel libro di Domenico Marcella

Catania è Femmina. Femmina è l’Etna che, pur essendo un vulcano, da sempre è intesa dai catanesi come “A Muntagna”, grande madre, che sa essere severa e clemente coi suoi figli.
Femmina è la sua Santa Patrona, Sant’Agata , che il giornalista e scrittore Domenico Marcella definisce come “femminista ante litteram”, avendo ben compreso quanto questa città abbia quel tipo di natura.

E lo ha ben compreso bene perché il giornalista (de Il Giornale) e scrittore calabrese è da sempre innamorato di questa città come spiega ai microfoni di Rsc Radio Studio Centrale : “Ho visto Catania la prima volta a 12 anni, negli anni 90, e ne rimasi stupito, affascinato, anche perché era il periodo d’oro in cui Catania era considerata la Seattle d’ Italia, per gli stimoli culturali, ma soprattutto musicali che emanava ed esportava. Da quel momento il mio legame con Catania è rimasto nel tempo”.

Da questo incontro con Catania, ai tanti incontri con donne “illustri” rappresentative di Catania, nasce proprio l’idea di scrivere il libro “#ZeroNoveCinque – Signore Catanesi Rispondono”, idea in qualche modo suggerita da Marella Ferrera, che del libro è una delle protagoniste: “In effetti l’idea è partita proprio da un’intervista con lei. Ho capito che c’era qualcosa da raccontare che andava oltre quell’intervista. Insomma è scattata una sorta di scintilla”.
Insieme alla chiaccherata con la nota stilista, si raccontano altre catanesi provenienti dagli ambiti più diversi, ciascuna con la sua storia da raccontare, da Paola Maugeri a Lucia Sardo passando per l’immancabile Carmen Consoli, Francesca Parisi, Rita Botto, Laura Mancuso, Donatella Finocchiaro, Alice Valenti, Le Malmaritate, Maria Caruso, Angela Bonanno, Monica Consoli, Gabriella Ferrera, Anna Cavallotto e persino le Monache Benedettine del Santissimo Sacramento.

17 storie attraverso le quali Domenico Marcella ha voluto omaggiare Catania, fra sacro e profano, come ci tiene a precisare, come ci tiene a sottolineare con affetto che la prefazione è curata da un’altra donna di carattere e spirito, cioè Catena Fiorello.

Ecco per voi un estratto del libro.

Ha occhi chiari e luminosi, lineamenti eleganti da primo Novecento e capelli alla garçonne. Alice Valenti si muove morbida tra i muri pallidi della sua casa-laboratorio, sui quali poggiano gli indelebili segni di un’arte che, come amuleti della buona sorte, trasmettono benessere visivo e sensoriale. A ridosso di quella linea immaginaria che divide il centro di Catania dai quartieri popolari, nel mondo di Alice tutte le strade, anche quelle accennate, sembrano condurre verso ‘u carrettu. Fregiato da sgargianti interventi d’intaglio, nato per trasportare merci – ma usato per le fuitine degli innamorati, le gite di Pasqua e i riti religiosi – il simbolo più forte del folklore siciliano ha intaccato la vita dell’artista: «Dopo essermi laureata a Pisa in Conservazione dei Beni culturali, sono tornata a Catania. Sfogliando un vecchio libro sull’illustre mezzo – con grande meraviglia – ho trovato il nome di mio nonno Giuseppe, considerato uno dei più noti costruttori di carri della Sicilia Orientale. Tra i pittori vi era Domenico Di Mauro, che da giovane aveva decorato le opere realizzate proprio da mio nonno. Sono andata a conoscerlo nella bottega ad Aci Sant’Antonio, restando folgorata dallo sfavillio di colori e racconti e dall’atmosfera quieta e antica. Gli ho chiesto di poter trascorrere il pomeriggio a guardare quel che faceva. Ci sono rimasta per cinque anni, imparando – oltre alla disciplina del lavoro e al dialetto siciliano – a sbozzare le figure e a dipingere secondo tradizione. Il maestro è stato immediatamente un modello di riferimento, unico nel suo genere, abilissimo nella padronanza e nell’uso del colore.

La nostra amicizia si consolida quotidianamente. Oggi, con i suoi 102 anni, ha ancora la forza di alzarsi dal letto per dipingere fiero i suoi tremolanti paladini». Con l’apertura di uno spazio a Catania, Alice ha mosso i fili della rivoluzione che hanno decretato la fine della saga del carretto: «Chi ne ordina uno, vuole esattamente quello che la tradizione ha tramandato. Quel linguaggio codificato m’impediva ogni altro tentativo. Non rinnego nulla, sia chiaro, perché è stata un’esperienza importante per la mia formazione. È fisiologico, a un certo punto, cambiare le carte per dare spazio ad altre priorità e curiosità – come la street art e la fotografia – che in un crogiolo di suggestioni coltivano e arricchiscono di nuova linfa il concetto di sicilianità.


Volevo svincolarmi, esprimermi liberamente. Mi sono così divertita a rivisitare le varie forme d’arte popolare per creare qualcosa di originale, un punto di vista differente. Sono riuscita ad apportare i motivi del carretto su una Vespa e su un’Ape Piaggio, e la testa del paladino Orlando – con elmo e pennacchio– sul copriruota di una jeep rossa. La mia immaginazione si nutre costantemente delle ingenue preziosità dei dolci tipici, delle maioliche greco-bizantine, degli ex-voto e dei finimenti dei cavalli bardati a festa. Mi diverto a rintracciare il filo conduttore di un sentimento popolare che vive ancora nelle viscere catanesi, come l’indissolubile miscela di estasi e violenza che esplode durante i festeggiamenti della santa patrona».

In attesa che la bellezza faccia il suo corso, decidendo finalmente di salvare il mondo – fra gli avvenenti blocchi lavici e i dirompenti squarci barocchi – Alice Valenti passeggia per Catania carezzandola di occhiate attente: «Mi piace che mio figlio cresca assaporando la dolcezza della vita di quartiere, densa e rumorosa, operosa e familiare. Le strade sono sporche, gli arredi urbani rotti, i muri scrostati, gli spazi verdi abbandonati. Sento una fitta al cuore. Poi, però, vengo distratta dal luccichio del sole che si riflette sull’oro dei mosaici di un palazzo liberty di rara bellezza, da un trapezio di cielo turchese senza macchia, e dall’odore penetrante dei cacocciuli arrustuti (carciofi arrostiti) sulla strada che satura i miei sensi. Sono certa di non voler essere in nessun altro posto al mondo. A volte mi sembra che basterebbe così poco a rendere Catania un posto meraviglioso. Mi dispiace che non ci sia sostegno pubblico per l’arte – a dispetto del circuito virtuoso che invece si potrebbe innescare – come avviene in altre realtà italiane ed europee. A spregio del patrimonio culturale e naturale, tutti dovremmo essere solerti sentinelle e fedeli amanti. Catania è così, odi et amo in un perenne scontro di sensazioni opposte e lacerazioni interne. Ma voglio amarla e credere nel suo futuro».

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